In questo numero ospitiamo Daniele Filippi, Director – Head of Business Development & Marketing di CRIF Ratings, agenzia di rating con licenza ESMA che emette ratings a controparti non financial corporate (ovvero aziende) in tutta l’Unione Europea.
Daniele ha un’esperienza ventennale nell’investment banking e nel capital market avendo assunto responsabilità manageriali in alcune tra le più importanti istituzioni finanziarie italiane ed estere tra cui GE Capital, BNP Paribas Fortis, Société Générale. Daniele ha conseguito la laurea in Economia nel 1998 presso l’Università degli Studi di Bologna ed è Dottore Commercialista e Revisore contabile.
Per voi lettori Bullsandbears.it, un’occasione unica per avere una vista dall’interno, sul mondo della valutazione del rischio di impresa ai fini di investimento, nonché qualche prezioso consiglio sugli elementi di attenzione nella lettura di un report di rating prima di decidere se investire.
Buona lettura!
Buongiorno Daniele e grazie per la tua disponibilità. Per iniziare potresti aiutarci a ripercorrere l’origine delle società di rating locali in Europa, tra cui anche CRIF Ratings?
La Commissione europea per proteggere la propria stabilità finanziaria messa a rischio dalla crisi dei subprime e del mercato immobiliare US, ha deciso di costituire una propria authority al fine di regolamentare e vigilare l’attività delle agenzie di rating sul territorio UE, estendendone l’attività oltre alle c.d majors (Moody’s, S&P, Fitch, DBRS) anche alle agenzie locali favorendone e valorizzandone la prossimità alle controparti valutate.
Nel 2011 viene quindi istituita l’European Securities and Market Authority (ESMA) la cui missione è quella di tutelare gli investitori e promuovere un’attività stabile e ordinata sui mercati finanziari.
ESMA opera anche come autorità di vigilanza sulle agenzie di rating rilasciando le licenze ad operare, validando le metodologie e vigilando sull’attività e le tariffe applicate.
Dall’istituzione dell’ESMA ad oggi in Europa sono nate circa 2/3 agenzie per paese.
Si sente parlare spesso di Rating. Potresti aiutare noi e i lettori di Bullsandbears.it a capire cosa è il rating e perché è importante?
Il rating è un’opinione espressa da un soggetto terzo e indipendente sulla capacità di un’azienda di onorare il proprio debito.
Il rating può essere di 2 tipi: emittente ed emissione
Il rating emittente (detto anche rating di controparte o issuer rating) fornisce una valutazione globale della solvibilità di un determinato soggetto circa la sua capacità di onorare pienamente ed in modo puntuale le proprie obbligazioni finanziarie.
Il rating di emissione (issue rating) esprime l’opinione dell’agenzia sul grado di probabilità che il titolo emesso sia integralmente e puntualmente rimborsato a scadenza.
Il rating è uno strumento utile per un investitore poiché gli consente di valutare il rischio di credito connesso all’investimento in un determinato strumento finanziario e, dunque, il rendimento atteso ad esso associato.
In base a chi ne richiede l’emissione il rating può essere:
Solicited, cioè richiesto e pagato dall’impresa da valutare. I rating solicited sono consegnati in forma privata e confidenziale, e possono essere trasformati in qualsiasi momento in rating pubblici su richiesta dell’impresa stessa.
Unsolicited, cioè richiesto e pagato da un soggetto terzo rispetto all’impresa da valutare. Sono consegnati in forma privata e confidenziale solo al terzo richiedente, ma comunicati preventivamente all’impresa valutata. I rating unsolicited possono anche essere emessi su iniziativa propria dell’Agenzia, in conformità al Regolamento europeo vigente.
Normalmente i rating unsolicited sono commissionati da soggetti (fondi di investimento) che devono decidere se investire o meno nel debito di un determinato emittente e monitorarne il livello di rischio nel tempo.
Il rating si basa sui dati di bilancio e sulle informazioni fornite dalla società (business plan, dettagli fornitori/clienti/banche, presentazioni istituzionali, etc.). CRIF Ratings, previa manleva, può utilizzare anche i dati di comportamento creditizio. l’Agenzia si avvale infatti del database proprietario del gruppo CRIF, una base dati proprietaria che comprende i bilanci, le informazioni commerciali, di comportamento creditizio e tutte le altre informazioni desumibili dai registri delle camere di commercio. Base dati che rappresenta una sorta di vantaggio competitivo rispetto alle altre agenzie.
Come si svolge una attività di rating?
Dopo una prima fase di trattativa commerciale svolta esclusivamente dal team di business development, in cui si definisce la parte negoziale e contrattuale, il lavoro passa al team analisti. L’authority richiede espressamente che la fase negoziale e quella analitica avvengano in maniera completamente autonoma e separata e che quindi non avvengano contatti o scambi tra i sales e gli analisti, per scongiurare il rischio più critico ovvero il c.d. rating shopping, cioè la correlazione fra la tariffa corrisposta e il giudizio ottenuto. Pena forti sanzioni o addirittura il ritiro della licenza.
L’analisi dura dalle 4 alle 6 settimane a seconda della complessità dell’azienda da valutare con uno scambio di informazioni tramite data room e successivo unico incontro presso l’azienda detto management meeting in cui gli analisti sottopongono le proprie valutazioni e deduzioni al top management dell’azienda per un confronto. A valle di ciò viene convocato un comitato che si esprime a votazione sul rating. Una volta deliberato esso viene comunicato alla società che ha una possibilità di appello nel caso siano intercorsi fatti rilevanti e straordinari dal momento della visita all’emissione del rating.
Il rating report viene quindi consegnato all’azienda in maniera privata e confidenziale consentendo però all’azienda di poterlo mostrare ad un numero limitato di controparti (banche, fondi, investitori, etc.) sulla base di una selected disclosure. Può essere trasformato in pubblico in qualsiasi momento e senza ulteriori costi su richiesta dell’azienda. In questo caso l’Agenzia convoca un nuovo comitato per la delibera del nuovo rating pubblico e deve procedere alla pubblicazione dello stesso sul suo sito. L’azienda a questo punto può utilizzare tutte le forme di pubblicità che crede (pubblicazione sul sito o sul bilancio, etc.).
È previsto inoltre il monitoraggio del rating, che viene svolto dai due analisti incaricati, e che in assenza di eventi straordinari deve essere svolto almeno una volta all’anno.
I capisaldi del monitoraggio sono:
- Comunicazione costante con la società
- Andamento del comportamento creditizio e delle altre informazioni desumibili dal proprio database proprietario
- Informazioni pubbliche
Qualora avvengano operazioni straordinarie o si venga a conoscenza di informazioni rilevanti il monitoraggio sarà rivisto anticipatamente e tramite una rating action comunicato al mercato.
Quali sono i vantaggi per una azienda che decidere di richiedere una emissione del rating?
Il rating viene emesso principalmente per facilitare l’accesso al mercato dei capitali, poiché contribuisce a incrementare la visibilità dell’impresa verso gli investitori, domestici e internazionali, consentendo a questi di prendere decisioni di investimento più consapevoli sul rischio di credito sottostante.
Mi è capitato di emettere rating anche relativi a operazioni di mercato. Ad esempio, nel caso di una azienda di un gruppo americano che è stata ceduta ad un Gruppo italiano ad un prezzo simbolico. In questo caso la società venditrice ha richiesto al compratore di avere un rating, per avere una certezza sul “going concern” e solidità dell’acquirente.
Quindi il rating può avere anche una funzione di accreditamento internazionale verso controparti non solo finanziarie ma anche commerciali (fornitori, clienti, partner, gare d’appalto).
Infine, l’ottenimento di un rating permette anche la società di capire quali sono le caratteristiche che influiscono sul potenziale miglioramento o peggioramento del proprio rating e quali sono i suoi punti di forza e di debolezza.
Grazie a questa consapevolezza, le aziende possono avviare un percorso di disciplina finanziaria interna, volta al miglioramento del proprio rating nel tempo, in coerenza con i piani d’investimento e di sviluppo.
Tra gli strumenti alternativi di finanziamento per le imprese, si parla spesso di Mini-Bond, che però tra alti e bassi non hanno mai avuto una vera e propria “consacrazione”. Qual è la tua opinione al riguardo?
Fin dal suo lancio nel 2012 tramite il decreto Sviluppo il mercato dei mini-bond non si è mai evoluto completamente soprattutto perché alla luce delle politiche monetarie di quantitative easing praticate della BCE, le aziende hanno avuto la possibilità di finanziarsi sul sistema bancario con spread molto bassi. Il mercato dei capitali (bond) invece si attesta su costi mediamente più alti, sebbene presentando strutture unsecured amortising o bullet e di durata più lunga (5,7, 10 anni).
Se ragioniamo con l’ottica delle PMI poi, pricing a parte, ci sono da considerare I costi dell’arranger, degli studi legali e altri costi che limitano la diffusione dei mini-bond.
Una possibilità interessante è costituita dai Basket Bond. Si tratta un agglomerato di aziende emittenti in cui le singole emissioni vengono conferite in un veicolo (Standard Purpose Vehicle L.130) il quale emette una nota del valore pari alla somma delle singole emissioni, comprato da uno o più investitori. In questo modo il vantaggio è quello della massa critica e di godere di condizioni condivise che incidono su:
- il costo dell’interesse, più basso di quello che ogni emittente potrebbe ottenere con emissioni stand alone.
- minore incidenza dei costi di strutturazione legati all’emissione.
I basket bond possono aggregare sia aziende dello stesso settore industriale che di settori diversi.
Ad esempio, CRIF Ratings è stata la prima agenzia di rating ad assegnare rating agli emittenti di uno dei primi bond di filiera tramite il consorzio Viveracqua, le cui aziende tutte appartenenti al settore idrico con dimensioni ridotte (circa 40 mln di fatturato) erano interessate ad emettere bond. La BEI sarebbe stata interessata ad investire ma la sua soglia minima era superiore ai ticket delle singole aziende. Quindi le aziende hanno emesso singoli bond che sono stati conferiti in una SPV che a sua volta ha emesso una nota di valore eligible per la BEI. In questo caso la BEI ha investito e chiesto a CRIF Ratings di emettere il rating sulle singole emittenti.
In generale c’è ancora un grosso freno sui mini-bond. La raccolta di per sé non sarebbe un problema per gli investitori, tipicamente fondi di debito, dal momento che c’è tanta liquidità da impiegare e diversi investitori istituzionali interessati: CDP, BEI più altre istituzioni finanziarie. Il problema è invece sul lato del deployment dove si fatica a trovare soggetti emittenti. In parte dovuto alla concorrenza del sistema bancario come detto poc’anzi e in parte alla cultura delle singole aziende in cui il management e le proprietà spesso sono poco informati e inclini a questi strumenti.
Cosa servirebbe a tuo avviso per cambiare l’inerzia del mercato dei mini-bond?
Magari qualche incentivo anche di carattere fiscale che le aziende emittenti potrebbero contabilizzare in bilancio.
Inoltre, una maggiore facilità di accesso e standardizzazione della procedura – come nel caso dei basket bond – che aiuti le aziende nella strutturazione dell’operazione e a ridurre i costi legati all’emissione.
Anche una sorta di “educazione” degli imprenditori e delle aziende a questi strumenti. Andrebbe spiegato che i bond rappresentano una scelta di diversificazione delle fonti finanziarie rispetto al ceto bancario essendo strumenti di debito di più lunga durata, unsecured e che non segnalano sulla Centrale Rischi Bankit.
Mi è capitato di rilasciare rating ad una azienda quotata che bilanciava correttamente la propria capital structure utilizzando il sistema bancario per linee revolving e commerciali mentre si rivolgeva al mercato obbligazionario per la finanza a medio lungo termine.
Si tratta di un’impostazione tipicamente più anglosassone che italiana, ma io trovo che sia utile perché il bond va a supportare investimenti (Capex e R&D), lasciando alle banche prevalentemente la copertura finanziaria del circolante.
Chi emette il rating cerca di mantenere una posizione di indipendenza. Quali sono i bias a cui comunque gli emittenti di un rating rischiano di andare incontro?
Senza dubbio il rischio principale è quello del Rating shopping che si esprime in 2 modi:
- L’agenzia garantisce all’emittente un rating più alto perché il cliente paga un prezzo più alto
- L’agenzia garantisce all’emittente un prezzo più basso per aggiudicarsi il mandato
Tutto ciò è espressamente vietato dall’ESMA che per arginare questi rischi ha predisposto una serie di controlli.
Innanzitutto, ha istituito la figura della compliance all’interno delle agenzie che controlla l’applicazione del regolamento al fine di evitare che ci siano interazioni tra l’area commerciale e il team di analisti.
Inoltre, ESMA esegue periodicamente attività di audit presso le agenzie attraverso software di data caption sui computer dell’agenzia. In questo modo esegue ricerca di parole chiave per analizzare scambi di comunicazione tra l’area commerciale e gli analisti.
Un altro accorgimento riguarda l’obbligo per gli analisti – durante la trattativa – di uscire dalla stanza nel momento in cui si parla di prezzo e viceversa il divieto al team di BD di assistere ai comitati finanche entrare nella sala analisti.
Come detto sopra le sanzioni in caso di mancato rispetto delle regole possono essere anche piuttosto severe. In caso di rating pubblico, se si evidenzia un problema di comunicazione, allora tutto il team di analisti deve essere sostituito.
Ricordo un caso in cui ESMA erogò sanzioni ad un’agenzia importante su un rating Sovereing. Nel periodo di 24 ore che intercorre tra il momento in cui il rating viene comunicato all’azienda e il momento in cui viene reso pubblico, c’era stato un “leakage” di informazioni.
Quali consigli ti senti di dare agli investitori che si trovano a leggere un report di rating?
Ovviamente il primo elemento da guardare è il giudizio sintetico che si esprime attraverso le famose lettere (AAA, AA+, etc.) in base al quale il mercato stabilisce un premio per il rischio da richiedere all’azienda per accettare quel determinato investimento.
Ma anche l’Outlook è importante perché sintetizza la previsione sull’evoluzione nel medio lungo termine.
Poi, venendo agli aspetti più tecnici, è fondamentale guardare il profilo di liquidità dell’emittente, perché sappiamo tutti che le aziende sono la cassa che generano. Il profilo di liquidità dell’azienda è indicativo della capacità della stessa di pagare periodicamente gli interessi e di rimborsare il capitale.
Infine, un aspetto che si tende a sottovalutare ma che è importantissimo, è quello della governance.
In particolare, si tratta di un tema rilevante per le aziende italiane che sono prevalentemente padronali. Spesso quello che può essere visto come un rischio per l’investitore è mitigato da altri aspetti: avvalersi di manager di elevato spessore, praticare politiche di dividendi meno aggressive rispetto ai “peers” europei e orientarsi sempre di più verso CDA con consiglieri indipendenti.
In questo momento alcune agenzie di rating valutano positivamente dal punto di vista della governance anche aspetti di gender diversity e quote rosa all’interno del CDA.
Nondimeno anche i temi legati al Environmental Social e Governance (ESG), sono tenuti in alta considerazione dalle agenzie al fine di valutare gli impatti ambientali e sociali dell’azienda sul mercato e sull’ambiente.
Considerando i costi del rating quali sono le dimensioni minime in termini dimensionali per una azienda al fine di considerare conveniente l’emissione di rating anche rispetto al prezzo pagato? Esiste la possibilità per le agenzie di praticare prezzi in concorrenza?
Occorre precisare che tutte le tariffe dell’agenzia devono essere depositate presso ESMA. Chiaramente le agenzie locali hanno prezzi più bassi rispetto alle major.
Parlando di CRIF Ratings nello specifico, ci sono poi diverse fasce di prezzo in rapporto con il fatturato dell’azienda. Diciamo che il rating inizia a diventare interessante e sostenibile per aziende che hanno un fatturato superiore ai 10 milioni di euro.
Il prezzo applicato al primo anno viene poi diminuito nei monitoraggi degli anni successivi, considerando che nel primo anno viene contabilizzato un maggior sforzo analitico e conoscitivo sull’azienda. Non può essere il contrario altrimenti si configurerebbe il rischio di rating shopping.
Hai qualche aneddoto curioso su rating emessi?
Parliamo di come ho vinto la resistenza di CFO, AD e proprietà a darsi rilasciare il rating sulla propria società.
Recentemente mi è successo con un’azienda quotata che conosco da tempo. Dopo diverse resistenze decidono di farsi assegnare un rating privato. Sebbene fosse privato le voci sul mercato corrono e il CFO mi chiama piacevolmente sorpreso perché qualche tempo dopo il conseguimento del rating era stato contattato da alcuni fondi di debito che dopo un primo incontro conoscitivo avevano cominciato a sottoporgli ipotesi di prezzo per una possibile emissione.
Sebbene il pricing sia ancora lontano dalla convenienza bancaria, il fatto che il CFO potesse ora scegliere liberamente anche un’altra forma di finanziamento lo ha rassicurato sul fatto di avere la possibilità di valutare e scegliere forme alternative al mercato bancario.
Di fatto il rating è servito ad aprire l’azienda al mercato dei capitali.
Data la tua posizione privilegiata, qual è la tua visione sullo scenario economico della regione?
Beh, in Emilia-Romagna, e in particolare sulla c.d. via Emilia abbiamo imprese eccezionali che pur con le difficoltà del contesto in cui operano (burocrazia, costo del lavoro e tassazione) riescono a competere con i colossi tedeschi.
Non esiste purtroppo un sistema Paese come che supporti le imprese locali all’estero. Sapere che i tedeschi sono davanti a noi nell’export di food, lo trovo un controsenso.
In Italia vi è inoltre un’incertezza enorme sulle regole e sulla tassazione che limita la fiducia degli investitori e gli investimenti in asset.
Trovo esistano inoltre enormi potenzialità singole che per limiti legati al sistema paese e anche ad un certo campanilismo dell’imprenditoria italiana sono frenate nello sviluppo di gruppi di dimensioni maggiori che possano competere con le sfide globali.
I settori di eccellenza, in particolare sulla via Emilia, sono tanti e in particolare mi vorrei soffermare sul chimico farmaceutico (Chiesi, Alfa Sigma, Kedrion, etc.), sulla meccanica (Interpump, SCM Group, Marposs, WAM, Emak, etc.), sul packaging (COESIA, IMA, Marchesini, etc.), sul food & beverage (Granarolo, Conserve Italia, Cremonini, Montenegro, etc.) e sul ceramico sia come produttori di piastrelle (Florim, Panaria, Atlas Concorde, etc.) che come produttori di macchinari per la ceramica (Sacmi, System, SITI B&T, etc.).
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Fornisci il tuo contributo!