Dopo aver già condiviso le negative esperienze delle startup food based Juicero e Teforia, è oggi la volta di Doughbies.

L’interessante video pitch di Doughbies (fino al minuto 1.03) e l’intervista al fondatore (con rappresentanti di VC)

Doughbies avrebbe dovuto forse configurarsi più come biscottificio che come una startup finanziata da Venture Capitalist.

Fondata nel 2013 e finanziata dagli investitori per 670.000 dollari, Doughbies aveva come mission quella di consegnare biscotti freschi appena sfornati entro al massimo 20 minuti dall’ordine.

Purtroppo non si è rivelata in grado di fornire i rendimenti chiesti dai VC.

Per questo motivo, lo scorso fine settimana, Doughbies ha annunciato che stava chiudendo, pur non avendo esaurito i fondi.

Doughbies avrebbe infatti raggiunto margini lordi del 36% e un utile netto del 12 per cento, stando alle parole del co-fondatore e CEO Daniel Conway, secondo il quale: “Il motivo per cui fino a questo momento siamo riusciti ad avere successo (?!?), è che ci siamo concentrati sugli economics per unità venduta e sul feedback dei clienti. Questo è tutto“.

Doughbies: How it (doesn’t) work(s)

Il modello di business di Doughbie non sembra aver funzionato

Fonte: Doughbie.com

Molte altre startup dell’on demand si sono “vaporizzate”

Le startup Shyp ha effettuato spedizioni e Washio ha lavato a secco i vestiti fino a quando entrambe non hanno dovuto improvvisamente interrompere le operations.

La food delivery è diventata un cimitero particolarmente affollato, con Sprig, Maple, Juicero e altre startup che hanno dovuto “mordere la polvere”.

Quale ricetta per le startup?

Ancora secondo il CEO di Doughbies, è necessario “Assicurarsi che il vostro business abbia senso – che si stiano facendo i soldi, e che i clienti siano felici“.

Quest’ultima parte è stata certamente rispettata. Doughbies ha proposto alcuni dei più deliziosi biscotti al cioccolato della Bay Area.

La pagina Yelp della startup Doughbies

Se da un lato Yelp attesta la bontà dei biscotti con un rating di 4,5 stelle su 5, dall’altro conferma la fine dell’esperienza Doughbies

A circa 3 dollari per biscotto più 5 per la consegna, non è difficile capire quanto la proposta fosse costosa rispetto alla cottura a casa, pur non risultando eccessivamente elevata se confrontata ai prezzi medi per questa tipologia di cibo dei ristoranti di San Francisco.

Fonte: Doughbies.com

Ma ha senso per quello che nella sostanza è un biscottificio avere un’app e consegnare on demand?

Probabilmente no.

Il cliente che ordina frequentemente e regolarmente si sarebbe indirizzato verso un sicuro sovrappeso.

Diversamente, il prodotto si presta per un’acquisto veicolato soprattuto da sporadiche occasioni speciali (ricorrenze, feste, …)

Mentre startup come Uber riescono a incassare da un utente fino a 30 dollari al giorno, a Doughbies tali performance potevano accadere non più di due volte l’anno.

Ha senso lo sviluppo di un'app per una startup di biscotti?

Accanto ai colossi della delivery Instacart e Uber Eats, non c’erano molti altri mercati adiacenti che Doughbies potesse conquistare.

Il limite della consegna di prodotti da forno consisteva (anche) nell’aumento delle dimensioni del carrello dei clienti, collegato a un negativo senso di ingordigia, pertanto da evitare.

Senza aver raggiunto una crescita esponenziale o massicci volumi di vendita… “Alla fine abbiamo chiuso perché il nostro team è pronto a passare a qualcosa di nuovo“, afferma Conway.

La startup ha pertanto inviato un’email ai clienti spiegando che “Stiamo attualmente lavorando per trovare una nuova casa per Doughbies, ma non possiamo fare alcuna promessa in questo momento“.

Bonus: la video email della startup ai clienti

Forse un grocery store o un’azienda alimentare più strutturata ne acquisirà la tecnologia logistica o la base di clienti.

Ma la delivery è un mercato brutale, dominato da chi, come Uber, ha costruito economie di scala attraverso massicce flotte di driver per massimizzare l’efficienza delle consegne.

Non appena un’impresa si avvale di finanziamenti di rischio, è sotto pressione per ottenere rendimenti adeguati. Non viene chiesto un “banale” raddoppio, ma un moltiplicatore pari a 10, 100, 1.000 volte la finanza originariamente ottenuta dagli investitori.

Le conseguenze

Ciò può portare gli investitori a stare con il fiato sul collo delle startup, incoraggiandole a prendersi grandi rischi, spesso eccessivi o scollegati dalla fase di sviluppo del momento.

Alla disperata ricerca di denaro, i fondatori possono accettare condizioni di finanziamento poco consone che si ripercuotono non solo su loro stessi, ma anche sui loro dipendenti e investitori della prima ora.

FanDuel ha raccolto più di 416 milioni di dollari con una valutazione massima di 1,3 miliardi di dollari. Ma quando ha venduto per $465 milioni, i fondatori e dipendenti hanno ricevuto zero, poiché i rendimenti sono stati tutti dirottati agli investitori late stage, che in fase di funding si erano assicurati una corsia preferenziale in caso di liquidazione.

Risultato? Dopo quasi 10 anni di duro lavoro, il team dei fondatori non ha ottenuto nulla.

Non tutte le aziende sono startup

Non tutte le startup hanno andamenti di crescita esponenziale.

Ci vuole molto più di un grande prodotto per avere successo

Può essere necessario:

  • tagliare improvvisamente i costi per diventare redditizi prima che i finanziamenti si esauriscano;
  • ridimensionare le ambizioni, consapevoli di raccogliere minori finanziamenti a una valutazione più bassa in modo da poter realisticamente raggiungere i milestones previsti;
  • accettare un’offerta di acquisizione a una valutazione contenuta, perché è meglio di niente.

Gli investitori sono spesso giustamente accusati di gonfiare la bolla, spingendo sulle valutazioni per attirare le startup a raccogliere i loro soldi invece di quelli di qualcun altro.

Ma quando si tratta di decidere che cosa potrebbe essere un business in rapida crescita, a volte sono i fondatori ad aver bisogno di un aggiustamento.

In conclusione: meglio essere fondatori o finanziatori?

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