Il business hardware sa essere davvero brutale. Le hardware startup possono imparare molto dai guai – tra gli altri – di Jawbone, Pebble e di altre startup che sono fallite o hanno dovuto cedere a forte sconto i propri assets.
Per questo motivo, dopo avervi raccontato i fallimenti di Juicero e di Teforia, abbiamo deciso di analizzare i motivi per cui tante startup hardware-based falliscono (e alcune hanno successo).
PERCHÉ LE HARDWARE STARTUP FALLISCONO?
A luglio 2017, il produttore di weareables Jawbone è diventato suo malgrado uno dei fallimenti più significativi nella storia delle startup.
Nonostante avesse raccolto 930 milioni di dollari nel corso dei 10 anni di vita, Jawbone non è riuscita a raggiungere una quota di mercato significativa per la sua linea di cuffie, fitness tracker e altoparlanti wireless.
Ad oggi Jawbone rappresenta il secondo fallimento più rilevante nella storia delle startup finanziate da fondi di Venture Capital di tutti i tempi.
Fonte: sito Jawbone
Perché Jawbone (e Juicero e le altre) hanno fallito? Sono svariati i motivi che di solito concorrono al default di una startup.
E’ però possibile identificare alcuni driver comuni. Usufruendo del database di CBInsights.com, abbiamo identificato le principali ragioni che accomunano il fallimento, rilevando che alcune sono rappresentate da:
1. una limitata domanda del prodotto da parte dei dei consumatori
2. un elevato tasso di assorbimento dei capitali raccolti,
3. la mancanza di interesse dopo il crowdfunding iniziale
4. errori di strategia nella proposizione del prodotto
Gli investitori continuano a finanziare le hardware startup
Gli investitori e i siti di crowdfunding continuano a finanziare queste tipologie di startup. Gli imprenditori raccolgono fondi attraverso Kickstarter o l’early stage funding, per inseguire l’aspirazione di costruire un impero nel settore del consumer hardware.
Cos’è l’early stage funding?
Fonte: Investopedia
Il secondo trimestre del 2017 ha visto quasi 140 operazioni e finanziamenti per un controvalore di circa 1,2 miliardi di dollari, tutti destinati al sostegno di startup di matrice consumer hardware.
Ciò è successo dopo che il 2016 si è rivelato un anno record in termini di importi raccolti e numero di operazioni di finanziamento.
Fonte: CBInsights.com
Inseguire la big exit nonostante la brutale statistica dei fallimenti
Le IPO nell’ambito dell’hardware consumer sono rare, e per ogni acquisizione da miliardi di dollari ottenuta dai produttori di cuffie Beats (acquisiti da Apple per 3 miliardi di dollari – AAPL), dei termostati Nest (Google, 3,2 miliardi – GOOG) o dei visori per la realtà virtuale Oculus Rift (Facebook, 2 miliardi – FB), c’è una scia di fallimenti altrettanto lunga.
Per qualsiasi startup, la strada verso il successo è incredibilmente difficile.
Se consideriamo il gruppo composto dalle hardware e dalle software startup, notiamo che le possibilità di successo dopo aver raccolto un primo round seed sono pari a circa il 46% e che il 70% di loro morirà o diventerà “zombie”, cioè autosufficiente ma senza alcuna possibilità di ambire a una IPO o a un’exit multi miliardaria.
Per le sole hardware startup, queste probabilità crollano rispettivamente al 40% e al 97% (!).
L’imbuto attraverso cui devono passare le hardware startup è più stretto e profondo che mai
Fonte: CBInsights.com
Chi ci sta provando e chi ha già fallito
Abbiamo deciso di prendere in considerazione un esempio di sfidante (Magic Leap) e uno di fallimento (Jawbone), per meglio comprendere le dinamiche di questa tipologia di startup.
Magic Leap – ancora un grosso punto di domanda
Magic Leap vuole tentare il cosiddetto moonshot, dimostrando ambizioni “spaziali” grazie a un misterioso prodotto di realtà aumentata in grado di sovrapporre le più incredibili immagini su qualsiasi scena.
Ad esempio, in un video promozionale, una balena “spunta” dal pavimento di una palestra scolastica. Davvero impressionante.
Questo è ciò che Magic Leap afferma di poter offrire
A sei anni dalla fondazione, la società della Florida non ha però ancora rilasciato un prodotto definitivo.
Magic Leap si autopromuove come sviluppatore di “human computing interfaces and software“.
Da quando ha annunciato la raccolta di capitale di 542 milioni di dollari nel terzo trimestre 2014 – finanziata da primari investitori come Google, Andreessen Horowitz, Kleiner Perkins, Vulcan Capital – l’azienda ha affascinato gli investitori e il pubblico in generale rilasciando stralci degli output raggiunti (o raggiungibili?) come quello che vi abbiamo proposto nella precedente gif.
Sappiamo anche che Magic Leap sta lavorando nel campo della realtà mista (MR) – un sottoinsieme di realtà virtuale in cui gli occhiali semitrasparenti ti permettono di vedere l’ambiente reale, ma interagiscono anche in un ambiente virtuale.
Fonte: sito Magic Leap
Ma sappiamo anche che l’azienda, fondata nel 2011, non ha ancora rilasciato un singolo prodotto vendibile.
In definitiva, Magic Leap ha ottenuto un volume di finanziamenti tale da essere valutata come se fosse la prossima “blockbuster startup”.
In seguito al fallimento di Jawbone del 2017, la pressione per soddisfare le aspettative degli investitori e degli osservatori si è spostata su Magic Leap.
Jawbone – design e vision, ma un’execution rivedibile
Jawbone è il perfetto esempio di come anche i leader più promettenti dell’hardware consumer possano alla fine rivelarsi perdenti.
Si tratta di un produttore di dispositivi indossabili: il bracciale Jawbone UP, lanciato per la prima volta nel 2011, rappresentava l’elemento di punta della gamma.
Alcuni ricorderanno Jawbone per il suo popolare speaker Jambox, tra i primi altoparlanti portatili bluetooth al debutto nel 2010. Ai tempi si rivelò uno dei dispositivi più cool della sua categoria, lodato da giornalisti e consumatori per il design e la qualità audio.
Fast Company ha definito Jawbone una “società di design industriale” in un articolo del 2013, un commento in linea con il suo fondatore/CEO Hosain Rahman, che nel corso della storia dell’azienda ha dato priorità all’estetica rispetto alla funzionalità.
Jawbone si era assicurata oltre 200 milioni di dollari in finanziamenti e a un certo momento ha raggiunto una valutazione superiore a un 1 miliardo di dollari (soglia minima per potersi proclamare unicorno).
Con il Jambox che affollava le spiagge di tutti gli Stati Uniti, il successo dell’azienda sembrava inevitabile.
Il design prima di tutto (sì ma… La funzionalità di prodotto?)
In realtà, Jawbone aveva già imboccato una direzione pericolosa nel giugno 2012.
La prima versione del braccialetto UP era talmente afflitta da problemi che a un mese dal suo rilascio (avvenuto nel Novembre 2011) la società ha dovuto offrire ai clienti rimborsi integrali, pur mantenendo il prodotto in listino a 99 dollari.
Il DNA di Jawbone è comunque di matrice audio. L’auricolare con cui inizialmente Jawbone uscì sul mercato nel lontano 2004, derivava dagli studi sulla soppressione dei rumori di fondo nelle comunicazioni del co-fondatore Asseily, che condussero a contratti con l’agenzia governativa USA per la difesa avanzata DARPA.
L’uscita sul mercato a 150 dollari di un auricolare con spiccate doti di design e tecnologia non ha convinto i consumatori, che hanno trovato – all’epoca – tali caratteristiche insufficienti a giustificare il pricing.
Nonostante ciò, Rahman ha continuato a portare avanti la sua concezione di business che poneva l’estetica del prodotto come principale elemento di differenziazione di Jawbone, inserendo nel 2006 un noto designer nel team in qualità di direttore creativo.
Tony Fadell di Nest (a sinistra) vince a mani basse il confronto con il CEO di Jawbone (a destra), per la precisione per 3,2 miliardi di dollari a zero. Fonte: Fast Company
Bonus: in questo profetico video del 2013, Rahman spiega quanto sia difficile creare qualcosa di semplice
In ogni caso, la seconda serie di cuffie Jawbone rilasciata nel 2006 ottenne recensioni in gran parte positive, e giunti al 2008 anche gli auricolari Aliph raggiunsero vendite per milioni, registrando utili sia nel 2007 che nel 2008.
Un oggetto del desiderio? I consumatori alla fine hanno risposto picche; Fonte: Amazon
Le cose sembravano mettersi per il meglio quando alla fine del 2011, Rahman sosteneva che il Jambox era il sistema di altoparlanti portatili numero uno negli Stati Uniti per fatturato e unità vendute.
La crisi finanziaria e – sopratutto – la dotazione di bluetooth di serie sui veicoli di tutte le case automobilistiche hanno dato un duro colpo alle vendite di Jawbone.
Bonus: sapete perchè il bluetooth… si chiama bluetooth (dente blu)?
Dopo aver comunque chiuso quattro turni di finanziamento e raggiunto una valutazione pari a 1,4 miliardi di dollari, si rendeva necessario entrare in un nuovo segmento di business.
Jawbone fu la prima società a produrre un fitness tracker.
Come già capitato, il braccialetto era cool nel design, ma non funzionava a dovere. Ciò costrinse nuovamente la società a offrire un rimborso, la sostituzione o un credito in prodotti Jawbone pari a 150 dollari.
Questo passo falso permise a FitBit (FIT) di entrare sul mercato e accaparrarsene una larga fetta.
A Novembre 2014, Jawbone ha lanciato il nuovo braccialetto UP3. Ma lo storytelling si rivelò a dir poco confuso: l’UP3 avrebbe “alla fine” misurato la frequenza cardiaca, la frequenza respiratoria e il livello di affaticamento, ma la sua prima iterazione era tutta incentrata sulla “discrezione” – progettata “per non” disturbare le vite [degli utenti] o creare distrazioni”.
A questo punto l’azienda ha avuto bisogno di altri soldi (nonostante gli oltre 470 milioni di dollari raccolti entro la fine del 2014), a fronte di valutazioni progressivamente calanti, fino al round di 165 milioni di dollari chiuso nel Gennaio 2016, a fronte di una valutazione di 1,2 miliardi di dollari.
Le cause legali affrontate (anche contro FitBit) e sopratutto il debutto dell’Apple Watch a inizio 2015 hanno costretto alla resa Jawbone (che nel 2016 ha tentato di cedere l’unico ramo commerciale profittevole, quello degli speakers).
Se Jawbone piange… FitBit non ride! Andamento di FitBit in Borsa dalla quotazione
Fonte: elaborazione di BullsandBears.it su dati Yahoo finance
L’ insuccesso di Jawbone è anche un fallimento dei suoi investitori nel riconoscere che la visione del CEO Rahman andava oltre la sua capacità di execution.
I nuovi modelli di business riusciranno a far sopravvivere le hardware startup?
Un aspetto fondamentale dei prodotti consumer hardware è la tempistica.
Si pensi a Ring, il videocitofono smart lanciato sul mercato quando alle case interconnesse mancava solo mettere in rete un elemento di video protezione per l’ingresso, o – viceversa – a Jawbone e al suo auricolare hi-tech ante litteram.
Indipendentemente dal prodotto hardware, il successo è una questione di opportunità, tempistica e strategia.
Ultimamente, gli investitori stanno scommettendo che la nuova “salsa segreta” per il successo dei dispositivi hardware consista nella vendita del dispositivo alla stregua di una piattaforma, che garantisca ricavi ricorrenti vendendo servizi connessi o beni in abbonamento, in esclusiva per il prodotto.
La chiave, tuttavia, è restare focalizzati sulla fattibilità (in termini di realizzabilità tecnica e di necessità effettiva dell’oggetto da parte dei consumatori) e sui margini potenziali del prodotto.
Juicero non è stato il primo a “stressare” la definizione di prezzo ragionevole per un elettrodomestico intelligente: i creatori del forno smart June (che hanno raccolto dagli investitori 22,5 milioni di dollari) sono stati derisi per aver voluto vendere un forno da banco a 1.500 dollari.
Il forno intelligente Tovala $399 riuscirà ad affermarsi grazie agli abbonamenti a 12 dollari per pasto?
E il produttore di yogurt Wim, con le sue ciotole di yogurt tra i 3 e i 4 dollari, entrerà nel ristretto novero degli unicorni?
Nella guerra tra hardware oven chi la spunterà. June o Tovala?
Fonte: siti Tovala e June
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