WeWork è una startup che affitta spazi per uffici e aree di coworking a piccoli team imprenditoriali e imprese che necessitano temporaneamente di spazi per uffici (tra queste Microsoft – MSFT, Spotify – SPOT, Deloitte, Sprint – S, e altre).
Le location sono distribuite in tutto il mondo (in Italia non sono ancora presenti), con una presenza più capillare negli USA.
WeWork ha recentemente offerto sul mercato dei capitali un prestito obbligazionario di complessivi 500 milioni di dollari, con pagamento di cedole annue e scadenza 2025.
Il rating?
Junk (spazzatura, ovvero – secondo i parametri delle principali società di rating – non investment grade).
Il rating assegnato al bond WeWork da S&P e Fitch
Fonte: elaborazione BullsandBears
Com’è andata la sottoscrizione?
Molto bene, se si pensa che la società newyorkese ha dovuto ampliare l’offerta a 702 milioni dollari, per la forte domanda riscontrata, a fronte di cedole che offriranno un rendimento del 7,875%.
Bloomberg ha ottenuto il prospetto informativo del bond e ne ha desunto alcune interessanti informazioni.
La storia di WeWork
WeWork ha iniziato la sua attività nel 2010 affittando spazi per uffici e scrivanie al circuito dei creativi di New York, offrendo servizi inusuali come la presenza di distributori di birra o la possibilità di portare gli animali domestici in ufficio.
Attualmente dispone di 234 sedi in 22 paesi, i membri sono attualmente pari a circa 220.000 – erano 7.000 quattro anni fa – e hanno a disposizione 251.000 postazioni di lavoro per oltre 1,3 milioni di metri quadri di spazio.
Breakdown degli affitti per settore
Fonte: Bloomberg
Questi affitti sono però mediamente a breve termine, a fronte di locazioni – che WeWork deve corrispondere ai proprietari delle 234 sedi – caraterizzati da contratti a lungo termine.
Oltre alle basse barriere all’entrata che un business come quello di WeWork deve affrontare, sembra proprio lo sfasamento nella duration dei contratti di affitto il principale vulnus del modello di business.
Pertanto, l’essere un first mover e aver implementato un platform business in un settore pressoché inesplorato, potrebbero non bastare a mantenere il vantaggio competitivo ottenuto grazie al fossato costruito dal management.
Fonte: wework.com
L’affermazione sembra lampante se si valuta che il totale degli affitti attualmente dovuti da WeWork ai proprietari degli spazi che loca ammonta a 18 miliardi di dollari, 5 dei quali da corrispondere entro il 2023.
E il mismatch della duration degli affitti appare ancora più spaventoso se si considera che molti dei membri possono recedere dal contratto con un preavviso di un solo mese.
Fonte: wework.com
Cosa succederà in caso di una recessione economica?
In una crisi economica, è ragionevole supporre che alcune persone decideranno che è più conveniente lavorare da casa.
Parimenti, non si può dare per scontato che i clienti business, che rappresentano quasi un quarto dei membri, si comporterebbero in modo molto diverso, soprattutto se dovessero fallire.
In parole povere, c’è il rischio che le spese di affitto di WeWork superino in modo significativo le entrate in caso di recessione.
In questo scenario, le tariffe che i nuovi utenti sarebbero disposti a pagare sarebbero probabilmente più basse, mentre le spese di affitto resterebbero più o meno le stesse.
L’andamento dei ricavi e delle spese di WeWork nel biennio 2016-17 (miliardi di dollari)
Fonte: Bloomberg
Good news – il tasso di occupazione
Naturalmente, ingenti perdite non sono automaticamente e necessariamente un ostacolo al successo di lungo termine.
La buona notizia è che il tasso di occupazione di WeWork è elevato e sta migliorando, mano a mano che nuovi spazi/uffici vengono aggiunti al portafoglio.
Anche il tentativo di attirare più clienti di tipo “blue-chip” ha contribuito ad aumentare il livello di occupazione dei desk WeWork.
L’azienda ha affermato di aver bisogno di almeno il 60% di occupazione per coprire i costi di ogni posizione.
L’anno scorso è riuscita a riempire l’81% delle scrivanie, con un aumento di 5 punti percentuali rispetto all’anno precedente.
Attualmente WeWork dispone di un parco clienti composto per il 22 per cento da società Fortune 500.
Percentuale dei membri corporate sul totale (%)
I clienti corporate sottoscrivono contratti di affitto mediamente più lunghi, garantendo cash flow più stabili; fonte: WeWork.
La situazione dei cash flow
WeWork sembra inserirsi a buon diritto nel gruppo di società (più o meno) tecnologiche di grande successo che bruciano cassa “alla velocità della luce” (Netflix – NFLX e Tesla – TSLA vi ricordano qualcosa?).
Sebbene il fatturato sia raddoppiato nel 2017, le spese operative per la gestione delle sedi ne hanno “consumato” il 92% (e questo è il dato prima dei costi di pre-apertura e delle spese di vendita e marketing). Complessivamente la perdita netta è stata pari a 933 milioni di dollari.
Secondo Bloomberg, nel 2017 il free cash flow è stato negativo per circa 775 milioni di dollari.
Per ora WeWork ha molta liquidità, ma per raggiungere una redditività sotenibile avrà bisogno di economie di scala ancora maggiori – il che quasi certamente significa ulteriore indebitamento, finanziario e per nuove locazioni.
WeWork riconosce che le spese che sosterrà “renderanno difficile raggiungere la redditività, e non si può prevedere se verrà raggiunta la redditività nel breve periodo o at all“.
Certo è che se Masayoshi Son, uno degli investitori più rilevanti a livello mondiale, ha deciso di investire nella società newyorkese (tramite il Vision Fund di SoftBank – 9984.T) 4,4 miliardi di dollari (valutando l’intera società circa 20 miliardi di dollari)… Forse vale la pena “tenere gli occhi aperti” sulle prossime mosse di WeWork!
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