Ogni giorno, tra investitori professionali e piccoli risparmiatori c’è sempre qualcuno convinto di aver trovato una nuova ricetta per battere il mercato. Alcuni saltuariamente ci riescono, ma il più delle volte è Mr. Market ad avere la meglio. Poi c’è Warren Buffet. Il Guru di Omaha è tra coloro che ha dimostrato di riuscire in maniera pressoché costante a fare meglio del mercato; accanto a lui, diversi investitori hanno cercato (con risultati contrastanti) di affinare vere e proprie teorie per ottenere in maniera sistematica rendimenti sopra la media. Presupposto che accomuna molte di queste strategie è la semplicità della loro formulazione e del loro utilizzo, cosi che siano accessibili anche a chi non ha un background finanziario e tecnico per poter comprenderle fino in fondo. Ma funzionano davvero? Iniziamo con questo post una carrellata delle principali, cercando di descriverne le caratteristiche e i risultati sul medio lungo periodo
Dogs of the Dow (I cani del Dow)
Una teoria che ha goduto di particolare fama per un certo periodo di tempo è quella denominata “Dogs of the Dow”. Questa strategia è attribuita al gestore patrimoniale Michael O’Higgins e la sua fama è dettata sia dalla semplicità di replica che dai discreti risultati generati nel passato.
Il metodo
La strategia è elementare e sintetica:
- L’ultimo giorno dell’anno si rapporta il prezzo di ogni titolo azionario del paniere Dow Jones con il relativo dividendo staccato, in modo da calcolare il rendimento immediato (dividend yield) offerto da ciascuna società
- Si elencano in ordine decrescente i valori del rapporto dividendo-prezzo
- Si acquistano i primi dieci titoli della classifica in modo equi-pesato, ossia assegnando lo stesso ammontare monetario a ogni titolo.
La logica di questa strategia è quella di selezionare, all’interno del paniere Dow Jones, i titoli che esprimono il maggiore valore “dividend yield” e che si presuppone possano essere quelli maggiormente sottovalutati e quindi in grado di sovraperformare il mercato nel corso dell’anno.
Un back test effettuato da James O’Shaughnessy dimostrò che questa strategia, a partire dagli anni 20 aveva sovraperfomato l’indice di riferimento senza aumentare il rischio associato (misurato in termini di volatilità dei rendimenti). Da questo momento in poi la teoria divenne cosi popolare che in molti iniziarono ad usarla. Addirittura vennero creati fondi di investimento appositi che avevano come obiettivo quello di replicare questo stile di investimento.
Sostenitori e critici
I sostenitori affermano che la strategia è molto semplice da mettere in pratica e che nel lungo periodo ha dimostrato di riuscire a battere l’indice di riferimento.
Fonte: http://www.dogsofthedow.com/
Sul fronte opposto c’è invece chi la critica sostenendo che proprio la sua eccessiva semplicità la rende replicabile senza nessuna difficoltà e quindi non più efficace nel lungo periodo. A tal proposito va segnalato in effetti che se la sovraperformance di questa strategia rispetto all’indice è evidente fino alla fine del secolo scorso, negli ultimi vent’anni i rendimenti si sono allineati a quelli del Dow 30.
Le varianti
Proprio come conseguenza della sua semplicità e dei suoi ritorni, molti hanno cercato di modificarla nel tentativo di affinarla, con l’obiettivo di renderla ancora più semplice e più profittevole. C’è il Dow 5, che include i cinque cani del Dow che hanno il prezzo più basso per azione. Poi c’è il Dow 4, che include le 4 azioni del Dow 5 con il prezzo più alto. Infine, c’è il Foolish 4, reso famoso da Motley Fool, che sceglie le stesse azioni del Dow 4, ma alloca il 40% del portafoglio al prezzo più basso di questi quattro titoli e il 20% sulle altre tre azioni.
E sul mercato italiano cosa succede?
Se vi state chiedendo se la strategia può essere applicata anche al mercato italiano, la risposta è affermativa. Anche se è difficile reperire una base dati significativa da un punto di vista statistico, c’è chi ha provato a tracciare la performance di questa strategia applicata ai titoli di Piazza Affari. Il sito Altroconsumo ha analizzato i rendimenti per un periodo superiore al decennio, rilevando risultati contrastanti. In particolare nel 2002, anno orribile per Piazza Affari (-26% di performance), i “cani” hanno fatto addirittura peggio (-40%), in contraddizione con la convinzione che la strategia abbia carattere difensivo. Occorre tuttavia precisare che il periodo di un decennio potrebbe non essere sufficientemente lungo da un punto di vista statistico. Inoltre, la particolare struttura del mercato italiano (la cui capitalizzazione è pesantemente è influenzata da due comparti: banche e utilities), probabilmente poco si presta alla applicazione di queste strategie a “pilota automatico”.
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